Collezione Ivana Pellanda, Campo San Martino (Pd)
Il ciabattino di una volta si dedicava unicamente alla riparazione delle scarpe, ma nella seconda metà del secolo scorso nacque il calzolaio, figura più ecclettica perchè capace di lavorare anche sulle borse e gli altri accessori di pelle divenuti nel frattempo di uso comune, oltre a compiere operazioni più complesse sulle colorazioni e le finiture dei modelli sempre più personalizzati alle richieste del grande pubblico.
Come laboratorio aveva una piccola stanza, uno sgabuzzino dove teneva tutti i suoi attrezzi, il cuoio e, sopra gli scaffali, le scarpe. Le scarpe su misura si creavano grazie a delle forme in legno o ferro, ricavando direttamente il modello in cartone di fibra per poi successivamente ritagliare la tomaia.
Le pelli erano di origine bovina, caprina o ovina, ma, se le prime due erano le più comuni grazie alla loro morbidezza ed uniformità, per le calzature di lusso si ricorreva anche a pelli di altri mammiferi o animali come i rettili. Nelle fase della sparatura si assottigliavano i bordi dei vari pezzi di tomaia, che venivano uniti nella cosiddetta fase dell’orlatura, processo effettuato piegando e cucendo i bordi.
I contrafforti, posti alle due estremità delle calzature, erano necessari per mantenere la forma della tomaia, che veniva ultimata con l’aggiunta di fodere, occhielli e ganci. Sempre usando uno stampo, si tagliavano le suole di cuoio, che prima di essere usato veniva bagnato ed asciugato lentamente. Sia la fodera che la tomaia dovevano essere adattati alla forma realizzata in precedenza, mediante battitura, martellatura e rimozione del materiale in eccesso, prima di cucirle col filo di lino.
In seguito con la colla di caucciù si univa il ripieno del fondo con la suola esterna, si applicava una seconda cucitura e si aggiungevano il tacco e il sopratacco. Infine si chiamava finissaggio la fase di lucidatura e rifinitura della scarpa.